La Roma
di Matteo d'Acquasparta era una città dagli stridenti contrasti: strade
sterrate e squallore urbano, vaste aree disabitate all'interno delle mura
cittadine, ma anche svettanti case-torri di proprietà dei suoi più ricchi
abitanti, veri e propri grattacieli che rivaleggiavano in altezza con i
monumenti fatiscenti dell'antichità classica e con le facciate delle chiese
ricoperte di mosaici: luccicanti teofanie e sogni sacri fluttuanti in uno skyline
a dir poco unico.
Durante i ventitré anni intercorsi tra l'arrivo di Matteo a
Roma nel 1279 come lettore dello Studium Curiae e la sua sepoltura nel
1302 accanto all'altare maggiore di Santa Maria in Aracoeli, Roma sperimentò
una formidabile fioritura di arte figurativa su larga scala.
Nel 1279, il
marmorario magister Cosmatus e una squadra di maestri pittori e
mosaicisti, equivalenti romani di Cimabue, stavano dando i tocchi finali alla
cappella del Sancta Sanctorum nel Palazzo del Laterano fatta restaurare
e ridecorare da papa Niccolò III: un tabernacolo celeste nel deserto degno
dell'incomparabile collezione di reliquie nel suo altare. Due decenni dopo, le
basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maggiore sfoggiavano immensi,
nuovi mosaici nelle loro absidi commissionate da Niccolò IV, il primo pontefice
appartenente all’Ordine dei frati minori.
In particolare, Pietro Cavallini
aveva fatto dono alla basilica di Santa Cecilia del suo Giudizio Universale
e aveva affrescato l'abside (oggi perduta) dell’Aracoeli con la visione avuta
dall'imperatore Ottaviano della Vergine col Bambino; Giotto aveva invece da poco
completato il mosaico della Navicella nella basilica di San Pietro,
giusto in tempo per il Giubileo dell'anno 1300 indetto da papa Bonifacio VIII,
alleato e protettore di Matteo.
Con questa conferenza si intende offrire una
visita virtuale della Roma in cui si trovò ad abitare il cardinale
d’Acquasparta. E però lo si farà iniziando dalla fine, con la descrizione della
sua magnifica tomba sul Campidoglio.
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