Nell'ambito di "FORLÌDANTE. Tòta la Cumégia" VI Edizione,
l’Associazione Culturale Direzione 21 in collaborazione con il Comune di
Forlì, presenta la conferenza studio con Giuseppe Ledda "Il bestiario
dell'aldilà. Gli animali nella Commedia di Dante". L'incontro, che vale
come formazione docenti per le scuole primarie e secondarie, si terrà
giovedì 6 febbraio 2020 alle ore 17.30 a Palazzo Romagnoli, via Cesare Albicini, 12, Forlì. Ingresso libero.
Una tra le presenze più sorprendenti nel poema dantesco è quella
degli animali. Si tratta di una presenza continua e variatissima, che si
esprime soprattutto nelle similitudini. Si va dalle tre similitudini
ornitologiche usate in Inferno V per le anime dei lussuriosi (storni,
gru e colombe) fino alle api cui sono paragonati gli angeli nell’Empireo
(Paradiso XXXI), passando attraverso decine di altre occorrenze. Per
fare pochi esempi e dare un’idea della ricchezza del fenomeno, si può
pensare all’affollarsi delle similitudini animali nei canti infernali
dei barattieri (Inf. XXI-XXII): delfini, ranocchi, rane, lontre, anatre, falchi).
Tuttavia non bisogna pensare che la similitudine animale svolga
esclusivamente una funzione di degradazione bestiale nei confronti dei
dannati. Altrimenti come potremmo spiegare le numerose immagini animali
che Dante usa per gli spiriti del Purgatorio? Eppure nella seconda cantica incontriamo colombi, pecore, leoni, buoi, sparvieri, e così via, sino alle formiche, alle gru e ai pesci cui sono paragonate le anime dei lussuriosi nell'ultima cornice.
E perfino nel Paradiso i movimenti e gli atteggiamenti dei beati sono continuamente illustrati attraverso similitudini animali: pesci, bachi da seta, falchi, pole (un tipo di cornacchie)... Nel cielo di Giove, poi, le anime dei giusti formano la figura di un’aquila, i cui gesti sono ulteriormente paragonati a quelli di altri uccelli: falco, cicogna, allodola. E nella terza cantica non manca neppure un selettivo ma eloquente bestiario di Beatrice, paragonata a un’aquila che fissa gli occhi nel sole e un uccello che desidera nutrire i figli nel nido.
Per l’interpretazione di queste immagini dantesche bisogna sempre tenere presente che nella cultura medievale era presente una vasta letteratura naturalistica e zoologica, rappresentata soprattutto dai bestiari e dalle compilazioni enciclopediche, dove si raccoglievano le caratteristiche dell’animale (aspetto, abitudini, comportamento), non distinguendo tra dati reali e immaginari, e si offriva poi un’interpretazione simbolica, morale, allegorica dei dati naturalistici. L’uomo medievale aveva a disposizione una ricca biblioteca zoologica, un thesaurus ampio e diversificato di animali biblici, simbolici, allegorici, moralizzati, esemplari, scientifici, poetici, i quali non potevano non popolare la sua memoria e il suo immaginario, e condizionare il suo modo di guardare e interpretare anche gli animali osservati nella realtà.
Così, quando nel poema dantesco si incontrano similitudini animali, bisogna prestare particolare attenzione, perché non si tratta di semplici quadretti naturalistici nei quali spicca lo spirito di osservazione del poeta e trova espressione il suo realismo, come una lunga tradizione critica ha sostenuto. In esse agiscono sempre complesse strategie di costruzione del significato, attraverso l’attivazione dei significati simbolici che agli animali erano attribuiti nell'esegesi biblica, nei bestiari e nelle enciclopedie, ma anche tramite allusioni alla presenza degli animali in altri testi poetici antichi e medievali.
E perfino nel Paradiso i movimenti e gli atteggiamenti dei beati sono continuamente illustrati attraverso similitudini animali: pesci, bachi da seta, falchi, pole (un tipo di cornacchie)... Nel cielo di Giove, poi, le anime dei giusti formano la figura di un’aquila, i cui gesti sono ulteriormente paragonati a quelli di altri uccelli: falco, cicogna, allodola. E nella terza cantica non manca neppure un selettivo ma eloquente bestiario di Beatrice, paragonata a un’aquila che fissa gli occhi nel sole e un uccello che desidera nutrire i figli nel nido.
Per l’interpretazione di queste immagini dantesche bisogna sempre tenere presente che nella cultura medievale era presente una vasta letteratura naturalistica e zoologica, rappresentata soprattutto dai bestiari e dalle compilazioni enciclopediche, dove si raccoglievano le caratteristiche dell’animale (aspetto, abitudini, comportamento), non distinguendo tra dati reali e immaginari, e si offriva poi un’interpretazione simbolica, morale, allegorica dei dati naturalistici. L’uomo medievale aveva a disposizione una ricca biblioteca zoologica, un thesaurus ampio e diversificato di animali biblici, simbolici, allegorici, moralizzati, esemplari, scientifici, poetici, i quali non potevano non popolare la sua memoria e il suo immaginario, e condizionare il suo modo di guardare e interpretare anche gli animali osservati nella realtà.
Così, quando nel poema dantesco si incontrano similitudini animali, bisogna prestare particolare attenzione, perché non si tratta di semplici quadretti naturalistici nei quali spicca lo spirito di osservazione del poeta e trova espressione il suo realismo, come una lunga tradizione critica ha sostenuto. In esse agiscono sempre complesse strategie di costruzione del significato, attraverso l’attivazione dei significati simbolici che agli animali erano attribuiti nell'esegesi biblica, nei bestiari e nelle enciclopedie, ma anche tramite allusioni alla presenza degli animali in altri testi poetici antichi e medievali.
Giuseppe Ledda ha conseguito la Laurea in Filosofia
all’Università di Firenze, la Laurea in Lettere Classiche all’Università
di Bologna e il Dottorato in Scienze Letterarie all’Università di
Pavia. Dal 2000 insegna a vario titolo all’Università di Bologna, dove è
attualmente professore associato di Letteratura italiana e tiene gli
insegnamenti di Letteratura italiana, Letteratura e critica dantesca,
Letteratura e filologia dantesca.
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