mercoledì 11 gennaio 2017

La cultura benedettina nel territorio di Pavia

«La presenza benedettina a Pavia è senza dubbio una delle componenti più significative del patrimonio religioso, artistico e, in senso più ampio, culturale della città. È una presenza di rilievo soprattutto a partire dall’epoca longobarda, nel Medioevo, quando il piccolo centro urbano era capitale del regno». La professoressa universitaria Renata Crotti, esperta di Storia medievale, ci tiene a dare valore al passato monastico di Pavia. Nelle sue ricerche, nei suoi studi, ha raccolto negli anni, in particolare, un gran numero di informazioni e fonti storiche locali sull’ordine di san Benedetto, quel santo di Norcia trasferitosi a Montecassino, vissuto nella metà del VI secolo. Renata Crotti ne racconta la storia ed il suo legame con la città lombarda venerdì 13 gennaio 2017 alle ore 21,00 nella Basilica del Santissimo Salvatore, prima del concerto di musiche rinascimentali dell’ensemble “Il giardino delle muse” in programma dalle ore 21,30 alle 22,30 in occasione della festa di San Mauro che si tiene questa settimana per celebrare l’onomastico del discepolo. «Esistono differenti realtà a Pavia vincolate al culto del santo – chiarisce – Prima tra tutte c’è proprio la basilica di San Salvatore, fondata da re Ariperto nel VIII secolo e su cui l’imperatrice Adelaide nel 962 diede vita a una comunità benedettina cluniacense. In secondo luogo non bisogna dimenticare San Pietro in Ciel d’Oro, in età longobarda monastero benedettino. Tra gli edifici non più esistenti, inoltre, si ricordi l’abbazia di Sant’Agata al Monte, riferita a Cuniperga, badessa figlia di re Cuniperto. Invece, all’interno della cerchia muraria c’è il monastero di San Felice e nei pressi del seminario si erge quello di Santa Maria Teodote». Questi ultimi erano conventi femminili: il primo prende origine da Ansa, moglie di re Desiderio, sconfitto dai Franchi di Carlo Magno (ha una cripta molto ricca, nella quale sono ancora oggi conservate le reliquie di numerosi santi, tra cui san Felice, Santo Stefano protomartire, santa Felicita ed il legno della Croce); il secondo è dedicato a Teodote, fanciulla che, dopo essere stata disonorata da re Cuniperto, venne rinchiusa per il resto della sua vita tra le quattro mura del monumento. «Si tratta di un aneddoto infelice – ammette la docente – ma che ha dato vita ad un edificio davvero meraviglioso, che dovrebbe essere riscoperto dai pavesi, perché poco noto: il chiostro del monastero è decorato con archi e formelle in cotto, busti di monache; possiede una cappella quattrocentesca a croce greca con affreschi che lasciano senza fiato». Erano aree di diretta emanazione papale; realtà monastiche regie, esenti dalla giurisdizione vescovile, punti di riferimento non soltanto per il mondo religioso ma anche economico, sociale e politico. La situazione pavese, poi, era peculiare: proprio per il fatto di essere la capitale del regno, la città permetteva a re e regine di fondare molti enti cattolici, dotandoli di ingenti beni. Eppure anche qui si seguiva la Regola di Benedetto, basata su criteri di moderazione e di equilibrio tra esigenze ascetiche e spirito pratico: al centro si poneva la preghiera cantata e la lettura dei testi sacri, cui si affiancava l’esercizio del lavoro intellettuale e manuale (ora et labora).
«San Salvatore, in tal caso, è considerato un tripudio al monachesimo – spiega Renata Crotti – Ha, ad esempio, una cappella intitolata a san Benedetto con la figura del santo che regge nella mano destra il testo della Regola; la cappella di san Mauro, suo primo discepolo e seguace; la cappella di San Martino di Tours che fondò uno dei più importanti monasteri d’Europa; la cappella di san Maiolo, il quale per incarico della regina Adelaide, madre dell’imperatore Ottone I, si occupò del rinnovamento del monastero pavese. È per la loro internazionalità, in realtà, che i monaci benedettini possono essere annoverati tra i fondatori del vecchio continente, essendo il sistema abbaziale l’istituzione unificante principale del territorio. Monasteri e chiese, e qui s’inserisce pure il caso di Pavia, sono gli elementi in comune di un’unica storia che grazie alla radice cristiana ha acquisito un’omogeneità culturale che ci portiamo dietro tuttora. Dobbiamo solo riscoprirla: è impossibile per noi negare le origini cristiane dell'Europa».

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