La Tavola di Bisanzio, in programma sabato 20 e domenica 21 luglio 2012, è un evento culturale
che, partendo dalla geografia e dalla storia del territorio di Baiso (RE) e
dell’Appennino Reggiano, ne raccoglie le testimonianze, le studia, le
“mette in valore” per restituire ai luoghi e agli uomini che li abitano,
la coscienza di sè e l’orgoglio del proprio passato.
Qui, in questa parte di Appennino Reggiano, c’è un monte che si chiama Valestra, citato da Virgilio, per via di una bella leggenda che racconta di un tesoro difeso da un gigante di nome Balista; e ci sono terre ricordate da Livio e da Paolo Diacono nelle loro Historie che narrano di eserciti romani alla conquista dell’Appennino. Lungo il crinale di questo monte e poi giù giù lungo la valle del Tresinaro, passava il limes che segnava il confine tra il castrum Verabulum (Bizantino, che faceva capo a Ravenna) e il castrum di Bismantova (che faceva capo ai Longobardi). Per due secoli almeno, (VII e VIII d.c.) nel cuore del medioevo più alto e più profondo, si sono “fronteggiati” (ma anche riconosciuti e intrecciati) due popoli e due civiltà. Nelle terre del Verabolo i Bizantini hanno lasciato la loro storia e i loro nomi, i loro templi e i loro santi (San Vitale), i loro soldati e i loro figli, ma anche i loro usi e i loro gusti (l’allevamento della pecora, la pastorizia).
Una piccola ma precisa e ben riconoscibile identità. Qui la civiltà di Bisanzio ha lasciato i suoi sapori e in questi luoghi, unici in Appennino, ancor oggi a distanza di dodici secoli si consuma abitualmente carne di pecora.
Per questo “La Tavola di Bisanzio” è innanzi tutto un banchetto, una tavola apparecchiata, generosa e cordiale: con i rosticcini e le costine di agnello, la pecora bollita e il caratteristico violino, stagionato nelle cantine, le profumatissime barzigole, preparate per tempo in una concia antica.
Ma “La Tavola di Bisanzio” è anche un convito, proprio alla maniera del Convivio di Dante, una “tavola rotonda” di saperi e di studi, un luogo di ricerche e di piccole scoperte, un’occasione di dialogo e di raccolta di ogni utile testimonianza. In sostanza un richiamo per chi ha, come noi, qualcosa di Bisanzio nella storia e nel cuore. Dalle pergamene e oltre le pergamene, dalle scoperte archeologiche e oltre le scoperte archeologiche: i ristoratori della valle del Tresinaro accompagneranno i visitatori alla riscoperta dei piatti di pecora adulta e delle ricette rare a cui gli abitanti (uomini e donne) sono rimasti fedeli per generazioni. Gli studiosi potranno aprire prospettive nuove sui secoli di un medioevo pressoché sconosciuto, di cui questi luoghi di Appennino sono stati teatro.
Sapori e saperi, perché l’identità di una terra passaattraverso la storia dei suoi cibi, il piacere di ritrovarli e le parole che li raccontano.
Qui, in questa parte di Appennino Reggiano, c’è un monte che si chiama Valestra, citato da Virgilio, per via di una bella leggenda che racconta di un tesoro difeso da un gigante di nome Balista; e ci sono terre ricordate da Livio e da Paolo Diacono nelle loro Historie che narrano di eserciti romani alla conquista dell’Appennino. Lungo il crinale di questo monte e poi giù giù lungo la valle del Tresinaro, passava il limes che segnava il confine tra il castrum Verabulum (Bizantino, che faceva capo a Ravenna) e il castrum di Bismantova (che faceva capo ai Longobardi). Per due secoli almeno, (VII e VIII d.c.) nel cuore del medioevo più alto e più profondo, si sono “fronteggiati” (ma anche riconosciuti e intrecciati) due popoli e due civiltà. Nelle terre del Verabolo i Bizantini hanno lasciato la loro storia e i loro nomi, i loro templi e i loro santi (San Vitale), i loro soldati e i loro figli, ma anche i loro usi e i loro gusti (l’allevamento della pecora, la pastorizia).
Una piccola ma precisa e ben riconoscibile identità. Qui la civiltà di Bisanzio ha lasciato i suoi sapori e in questi luoghi, unici in Appennino, ancor oggi a distanza di dodici secoli si consuma abitualmente carne di pecora.
Per questo “La Tavola di Bisanzio” è innanzi tutto un banchetto, una tavola apparecchiata, generosa e cordiale: con i rosticcini e le costine di agnello, la pecora bollita e il caratteristico violino, stagionato nelle cantine, le profumatissime barzigole, preparate per tempo in una concia antica.
Ma “La Tavola di Bisanzio” è anche un convito, proprio alla maniera del Convivio di Dante, una “tavola rotonda” di saperi e di studi, un luogo di ricerche e di piccole scoperte, un’occasione di dialogo e di raccolta di ogni utile testimonianza. In sostanza un richiamo per chi ha, come noi, qualcosa di Bisanzio nella storia e nel cuore. Dalle pergamene e oltre le pergamene, dalle scoperte archeologiche e oltre le scoperte archeologiche: i ristoratori della valle del Tresinaro accompagneranno i visitatori alla riscoperta dei piatti di pecora adulta e delle ricette rare a cui gli abitanti (uomini e donne) sono rimasti fedeli per generazioni. Gli studiosi potranno aprire prospettive nuove sui secoli di un medioevo pressoché sconosciuto, di cui questi luoghi di Appennino sono stati teatro.
Sapori e saperi, perché l’identità di una terra passaattraverso la storia dei suoi cibi, il piacere di ritrovarli e le parole che li raccontano.
Tutte le info e programma completo sul sito: www.latavoladibisanzio.it.
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