«La presenza benedettina a Pavia è senza
dubbio una delle componenti più significative del patrimonio religioso,
artistico e, in senso più ampio, culturale della città. È una presenza
di rilievo soprattutto a partire dall’epoca longobarda, nel Medioevo,
quando il piccolo centro urbano era capitale del regno». La
professoressa universitaria Renata Crotti, esperta di Storia medievale,
ci tiene a dare valore al passato monastico di Pavia. Nelle sue
ricerche, nei suoi studi, ha raccolto negli anni, in particolare, un
gran numero di informazioni e fonti storiche locali sull’ordine di san
Benedetto, quel santo di Norcia trasferitosi a Montecassino, vissuto
nella metà del VI secolo. Renata Crotti ne racconta la storia ed il suo legame
con la città lombarda venerdì 13 gennaio 2017 alle ore 21,00 nella Basilica del Santissimo Salvatore,
prima del concerto di musiche rinascimentali dell’ensemble “Il giardino delle muse” in programma dalle ore 21,30 alle 22,30 in occasione
della festa di San Mauro che si tiene questa settimana per celebrare
l’onomastico del discepolo. «Esistono differenti realtà a Pavia
vincolate al culto del santo – chiarisce – Prima tra tutte c’è proprio
la basilica di San Salvatore, fondata da re Ariperto nel VIII secolo e
su cui l’imperatrice Adelaide nel 962 diede vita a una comunità
benedettina cluniacense. In secondo luogo non bisogna dimenticare San
Pietro in Ciel d’Oro, in età longobarda monastero benedettino. Tra gli
edifici non più esistenti, inoltre, si ricordi l’abbazia di Sant’Agata
al Monte, riferita a Cuniperga, badessa figlia di re Cuniperto. Invece,
all’interno della cerchia muraria c’è il monastero di San Felice e nei
pressi del seminario si erge quello di Santa Maria Teodote». Questi
ultimi erano conventi femminili: il primo prende origine da Ansa, moglie
di re Desiderio, sconfitto dai Franchi di Carlo Magno (ha una cripta
molto ricca, nella quale sono ancora oggi conservate le reliquie di
numerosi santi, tra cui san Felice, Santo Stefano protomartire, santa
Felicita ed il legno della Croce); il secondo è dedicato a Teodote,
fanciulla che, dopo essere stata disonorata da re Cuniperto, venne
rinchiusa per il resto della sua vita tra le quattro mura del monumento.
«Si tratta di un aneddoto infelice – ammette la docente – ma che ha
dato vita ad un edificio davvero meraviglioso, che dovrebbe essere
riscoperto dai pavesi, perché poco noto: il chiostro del monastero è
decorato con archi e formelle in cotto, busti di monache; possiede una
cappella quattrocentesca a croce greca con affreschi che lasciano senza
fiato». Erano aree di diretta emanazione papale; realtà monastiche
regie, esenti dalla giurisdizione vescovile, punti di riferimento non
soltanto per il mondo religioso ma anche economico, sociale e politico.
La situazione pavese, poi, era peculiare: proprio per il fatto di essere
la capitale del regno, la città permetteva a re e regine di fondare
molti enti cattolici, dotandoli di ingenti beni. Eppure anche qui si
seguiva la Regola di Benedetto, basata su criteri di moderazione e di
equilibrio tra esigenze ascetiche e spirito pratico: al centro si poneva
la preghiera cantata e la lettura dei testi sacri, cui si affiancava
l’esercizio del lavoro intellettuale e manuale (ora et labora).
«San
Salvatore, in tal caso, è considerato un tripudio al monachesimo –
spiega Renata Crotti – Ha, ad esempio, una cappella intitolata a san Benedetto
con la figura del santo che regge nella mano destra il testo della
Regola; la cappella di san Mauro, suo primo discepolo e seguace; la
cappella di San Martino di Tours che fondò uno dei più importanti
monasteri d’Europa; la cappella di san Maiolo, il quale per incarico
della regina Adelaide, madre dell’imperatore Ottone I, si occupò del
rinnovamento del monastero pavese. È per la loro internazionalità, in
realtà, che i monaci benedettini possono essere annoverati tra i
fondatori del vecchio continente, essendo il sistema abbaziale
l’istituzione unificante principale del territorio. Monasteri e chiese, e qui s’inserisce pure il caso di Pavia, sono gli elementi in comune di
un’unica storia che grazie alla radice cristiana ha acquisito
un’omogeneità culturale che ci portiamo dietro tuttora. Dobbiamo solo
riscoprirla: è impossibile per noi negare le origini cristiane
dell'Europa».
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